La Scuola di Narrazione Artistica Poliespressiva “Charles Dickens”
La Scuola dei Maestri per chi vuole imparare a narrare come loro ricavando le loro straordinarie competenze dallo studio sistematico delle opere immortali che essi hanno lasciato in eredità al mondo intero. Un Sistema formativo a più livelli scoprire e apprendere come sono fatti e come funzionano quei capolavori senza tempo e senza frontiere in cui sono implicitamente racchiuse le soluzioni e le regole per fare Arte con la Scienza.
Il Progetto
3. Le Peculiarità della nostra Scuola
Se siamo riusciti a destare il vostro interesse per la nostra “Scuola di Narrazione Artistica Poliespressiva”, vi ricordiamo che abbiamo creato un apposito Ambiente di Studio dedicato a tutti gli «Osservatori», a coloro, cioè, che vogliono sapere come funziona la nostra Scuola e soprattutto come funziona l’«oggetto» di cui si occupa.
Nell’«Ambiente Introduttivo alla Scienza Segreta dell’Arte Narrativa» potrete comprendere, con l’esperienza conoscitiva diretta, sia «ciò di cui ci occupiamo» sia «come ce ne occupiamo».
Saremo felici se riusciremo ad evitare che sprechiate il vostro tempo nella vana ricerca di soluzioni facili ad un problema complesso come quello di «imparare a narrare con qualunque forma espressiva e in modo artistico», proprio come sono riusciti a farlo i più grandi narratori di ogni tempo e luogo.
Dal momento che state leggendo questa pagina probabilmente nutrite già almeno un po’ di curiosità nei confronti del nostro Progetto Educativo e Formativo. Perciò vorremmo tentare di alimentare i vostri interessi fornendovi qualche altra informazione che potrebbe aiutarvi a decidere se investire un po’ del vostro tempo e delle vostre energie per godere anche dei nostri servizi a iscrizione.
Con questa presentazione proveremo a spiegarvi alcune peculiarità della nostra Scuola, e cercheremo di argomentare alcune delle tante valide ragioni per cui potreste frequentare subito almeno l’Ambiente Introduttivo e poi valutare l’opportunità di iscrivervi al successivo Livello/Ambiente, in cui potreste acquisire nuove capacità, incrementare quelle che avete già, e diventare così esperti «estimatori» di «arte narrativa», indagando ed esplorando – da soli o con i nostri stimoli, la nostra guida, le nostre risorse – il vasto territorio della narrazione artistica di ogni tempo, luogo, e forma espressiva.
Come forse già sapete, l’«Ambiente Introduttivo alla Scienza Segreta dell’Arte Narrativa» costituisce il livello basilare della nostra Scuola. È un Ambiente aperto che non richiede né iscrizione né contributi da parte vostra per frequentarlo; e tuttavia vi troverete tanto materiale che, testandolo, vi farà capire come funziona la nostra Scuola a tutti i Livelli.
Se vi state chiedendo che cosa sia “La Scienza Segreta dell’Arte Narrativa”, vi invitiamo ad avere un po’ di pazienza; capirete presto per quale motivo abbiamo voluto chiamare così l’«oggetto» di cui ci occupiamo, nella nostra Scuola, a cominciare dal livello basilare introduttivo.
La specificità dell’oggetto, che studiamo e insegniamo, fa parte delle peculiarità che rendono la nostra Scuola unica tra le tante Scuole, Accademie, Specializzazioni Universitarie che potreste trovare offline e ora anche online.
La nostra offerta formativa si distingue per alcune specificità metodologiche che derivano tanto dal tipo di ricerca che contraddistingue il nostro Istituto, quanto dal tipo di opere di cui ci occupiamo.
La nostra Scuola – come il nostro Istituto – si occupa di opere «classiche», cioè di quei capolavori della narrazione concepiti per superare ogni confine di tempo e di luogo, e per continuare a svolgere, nei confronti delle nuove generazioni, una funzione indispensabile per mantenere viva ogni Civiltà: aiutare gli individui a crescere sotto ogni aspetto, a coltivare passioni artistiche, e a non accontentarsi delle capacità che già possiedono.
Avvicinarsi ai «classici» richiede infatti capacità intellettive non ordinarie, affinché, fruendoli, si possa cogliere e comprendere tutta la ricchezza, etica, morale e metodologica, racchiusa in essi. A questo scopo la nostra Scuola vi consentirà di acquisire le capacità che vi occorrono, e ve le farà ricavare proprio dallo studio dell’architettura dei capolavori classici; così, attraverso l’acquisizione di nuove capacità, potrete allenarvi a a riconoscere e apprezzare le innumerevoli qualità di quei tesori artistici, inaccessibili senza adeguata preparazione.
Il nostro metodo di lavoro, sperimentato e affinato in oltre quaranta anni di studi e di attività educative e formative, si basa infatti sullo scoprire, in oggetti «complessi», i meccanismi universali con cui essi funzionano, sull’imparare a riconoscere gli stessi meccanismi in altri oggetti di studio, e infine sull’applicarli nella costruzione di nuovi.

Ma permetteteci di continuare a parlarvi ancora per un poco della «materia» di cui ci occupiamo. Noi, infatti, non insegniamo quella narrazione «ordinaria» che tutti pratichiamo ogni giorno affidandoci agli «automatismi», per trasmettere, attraverso «frasi fatte», poche e povere informazioni di senso comune (“cascami di pensieri pensati da altri”, direbbe il nostro maestro Alberto Cirese). Basti pensare ai “messaggi” che tutti ci scambiamo via “chat” o via “email” con altri “utenti”, e che di solito cancelliamo dopo che hanno svolto il loro compito momentaneo. Per produrre quei messaggi si potrebbero persino
adottare e ripetere le soluzioni facili di un «glossario» di «frasi fatte» adatte per «intrattenere» – e illudersi di mantenere «vivi» online – i rapporti «statici» con “conoscenti”, “amici”, colleghi e familiari (come di fatto si fa quando si usano le digitali “emoji” o quando si compera una analogica “cartolina di auguri” precompilata). Sappiamo tutti che «recitare» quei «discorsi standardizzati» – che tutti ci aspettiamo di
ricevere anche se ci dicono cose che già sappiamo – non ci fa crescere né tanto meno aiuta i rapporti a crescere; tuttavia dona l’illusione di “comunicare” e “socializzare”. E per molti questo è più che sufficiente per soddisfare quei desideri che travalicano la mera sopravvivenza.
Ma perché mai dovremmo insegnarvi a fare un po’ meglio quello che già sapete fare, avendolo appreso fin dalla nascita, per imitazione, dall’ambiente culturale in cui vivete?
Non vogliamo discutere qui dell’utilità di quelle Scuole e di quei manuali che vi insegnano la generica “narrazione” e la “scrittura” corretta, approfittando del fatto che molti di voi, pur avendo frequentato la “Scuola dell’obbligo”, non hanno appreso neppure le regole fondamentali per costruire un discorso «comprensibile».
Né vogliamo tornare a parlarvi di quelle Scuole che vi illudono di poter raggiungere, con “consigli” e “trucchi”, quel “successo” mediatico – più che altro di marketing – che altri come voi hanno ottenuto all’improvviso, “scoprendo di essere narratori e scrittori nati”.
Molti di voi si saranno già accorti, con l’esperienza, che la “scrittura creativa” è un’invenzione pubblicitaria per favorire un mercato che vuole vendervi l’«illusione» di poter diventare «artisti» senza alcuna fatica, cioè senza quella dedizione che certamente voi stessi riterreste necessaria se si trattasse di preparavi ad affrontare una mirabile impresa.

Ma che cos’è, se non una mirabile impresa, realizzare un’opera che aspiri a far parte dei capolavori patrimonio dell’umanità che continuano da secoli a formare uomini e a ispirare artisti?


Nella nostra Scuola non andrete a lezione di «furbizia» da quegli impostori divenuti “famosi maestri” (dell’inganno) per la loro abilità nel convincere il pubblico più ingenuo e impreparato a comperare i loro prodotti o quelli di altri.
Nella nostra Scuola, per imparare a costruire un «romanzo», potrete andare a lezione da Charles Dickens, da Herman Melville, da Lev Tolstoj, da Stefan Zweig, e da altri grandi ideatori di capolavori in forma letteraria. Quando vorrete imparare come si compone un’«opera musicale» potrete andare a lezione da Giuseppe Verdi, Giacomo Puccini, Gioachino Rossini, Wolfgang Amadeus Mozart, Richard Wagner. E così quando vorrete imparare come si costruisce un «dramma» potrete andare a lezione da William Shakespeare, Edmond Rostand, Oscar Wilde, Eduardo de Filippo.
Nella nostra Scuola ci occupiamo di «narrazione artistica», cioè di quella narrazione «straordinaria» che caratterizza l’opera di autori che tutti consideriamo indiscutibilmente come “veri Maestri” anche se non siamo andati a lezione da loro.
Noi non ci occupiamo di opere “profetiche” e “attuali”, adeguate solo a rappresentare il nostro tempo e il nostro mondo, e destinate ad essere accantonate come documenti di archivio utili solo per chi voglia studiare, un giorno, i nostri modi di vita. Ci occupiamo invece di opere «immortali» e «universali»; quelle opere che possono parlare a chiunque, in qualunque tempo e in qualunque luogo, e invitarlo ad indagare come funziona l’animo umano da sempre; ovvero quali motivazioni profonde spingano personaggi – in cui può riconoscere i moti del suo animo – a commettere atti sconvolgenti e a pentirsene, a compiere imprese eroiche, a sollevarsi dalle loro bassezze e a riscattare le loro colpe.
Qui studierete solo capolavori appartenenti al mondo intero, sopravvissuti agli stessi autori per continuare ad ispirare e a nutrire nuovi autori. Tuttavia non vogliamo dare per scontato ciò che caratterizza e differenzia queste «opere dei Maestri» rispetto ad altre prive delle medesime qualità e ambizioni, ma magari con molte più presunzioni; quelle opere, cioè, che potreste scrivere voi stessi già ora, persino facilmente e in poco tempo, ma che probabilmente non supereranno mai i confini del vostro tempo e del vostro mondo.
Il primo compito della nostra Scuola è quello di farvi scoprire e comprendere ciò che rende le «opere classiche» una «fonte universale e potenzialmente eterna» a cui qualunque autore dovrebbe abbeverarsi per poter «apprendere e applicare» gli «insegnamenti» in esse «racchiusi».
Una specificità della nostra Scuola, collegata alla precedente, riguarda i «docenti», perché tra essi vi sono – «virtualmente» – gli stessi autori di quelle «opere senza tempo e senza frontiere» di cui studierete il «funzionamento».
Quando testerete i servizi che vi offriamo nell’«Ambiente introduttivo» scoprirete in che modo gli autori di quelle opere possano tornare in veste di effettivi «Maestri» (non solo di nome) ad occuparsi della vostra educazione e formazione artistica, nonostante la maggior parte di essi non sia più viva per potervi insegnare «direttamente».
Un’altra specificità della nostra Scuola riguarda infatti «il modo con cui vi insegniamo», cioè con cui vi «introduciamo», vi «appassioniamo», e vi «alleniamo» a «lo studio analitico e progettuale dell’arte narrativa in ogni sua forma».
A questo proposito dovete sapere che noi ci occupiamo di opere artistiche «nella loro interezza», non «antologicamente» come fanno tanti narratologi e maestri di narrazione improvvisati, che prendono a «pretesto» solo alcuni brani ben scelti per «dimostrare» (in modo «illusionistico») «teorie preconcette», «usando» i testi artistici per «legittimare» le loro psicotiche e ideologiche «proiezioni» su di essi.
Per studiare i capolavori artistici, e apprendere la «maestria» racchiusa in essi, noi vi offriamo i nostri «Sistemi di Studio Reticolare», con cui voi stessi potrete «rifare i conti in tasca» a noi che li abbiamo creati e agli autori dei capolavori che prendiamo in esame. Potrete andare a ricercare e a riconoscere in ogni «articolazione» di ogni capolavoro i «principi narrativi» e le «soluzioni» elaborate con essi, e verificare così non solo la presenza ricorrente di «principi e soluzioni» «nel» racconto, ma anche la loro «efficacia» per il perfetto «funzionamento» dell’opera, cioè le ragioni per cui ogni parte, «correlata» alle altre, fa funzionare l’insieme o meglio il «sistema». Capirete anche, infine, come mai, per indagare ed esplorare la complessità di un «sistema narrativo» (l’opera artistica), occorra un «sistema metanarrativo» (il «Sistema di Studio Reticolare»), cioè un altro sistema in grado di assumere ad oggetto di studio e di esplicitare i meccanismi che fanno funzionare il primo.
Noi abbiamo perfezionato il nostro «metodo di studio dell’arte narrativa» in oltre 40 anni di attività. Ma il «nostro» metodo non è «tutta farina del nostro sacco». La «farina del nostro sacco» consiste nel fatto che noi «applichiamo e affiniamo» questo «metodo» propriamente scientifico lavorando «su oggetti artistici». Il nostro modo di trattare la narrazione artistica è la «sintesi» o meglio la «correlazione» di tanti «procedimenti scientifici» «adottati e utilizzati» – e a volte anche «ideati e definiti» – da studiosi e nondimeno da progettisti, ma in genere non «applicati» ad oggetti artistici.
Una nostra specificità sta infatti anche in questo: nel «collegare lo studio analitico a quello progettuale», e nell’«usare la scienza come strumento per capire e fare arte»; proprio come la usano tutti i grandi e veri artisti … ma loro «implicitamente», o se preferite «segretamente».
Per farvi capire meglio la novità «metodologica» che sostiene la nostra articolata «Offerta Formativa», vorremmo portare la vostra attenzione a una «evidenza» che, pur stando gli occhi di tutti, purtroppo quasi mai viene esplicitata, dichiarata e soprattutto insegnata, a cominciare dalla “Scuola di base”, dove ogni bimbo avrebbe il diritto di imparare a sviluppare e ad esercitare quelle «capacità elaborative» che altrimenti, con gli anni, superata la soglia della fanciullezza, finiscono per atrofizzarsi, proprio come accade alla maggior parte degli adulti che continuano a «invecchiare» ma non più a «crescere».
Dovrebbe essere infatti «evidente» che non si può studiare un «oggetto complesso» – quale è un «capolavoro artistico» – utilizzando i soli strumenti che abbiamo a disposizione «naturalmente», «casualmente», «comunemente»; altrimenti sapremmo già anche come «crearlo» oltre che «capirlo». Gli oggetti artistici richiedono delle competenze eccezionali, sia per «indagarli» che per «progettarli».
Ma il Sistema Scolastico – non solo del nostro Paese – non prevede che venga preso in esame anche questo «problema» di carattere «metodologico». Dalla Scuola di base fino all’Università, quando ci si trova ad occuparsi di «capolavori artistici» si scopre di non possedere una preparazione adeguata per studiare «come» si «anatomizzano» gli oggetti complessi, e quindi anche come li si «progettano». Si studia e si narra la storia, la genesi, l’accoglienza nel mondo in cui essi sono nati. Al posto di ciò che c’è «dentro» di essi, gli “esperti” vi parlano di ciò che – secondo loro – c’è «dietro», oltre a quello che si è raccolto «intorno» ad essi nel tempo. E soprattutto vi insegnano a «recitare» – nella parte di «eruditi conoscitori» – quelle “interpretazioni” o meglio quegli «usi» e soprattutto «abusi» – legittimati dalla “buona politica educativa” e dal “politicamente corretto” – che si continuano a perpetrare su questi oggetti eccezionali, in grado di viaggiare nel tempo, nello spazio, e tra le generazioni.
Infatti, anche se non sono stati concepiti per qualche occasione o uso in particolare, i capolavori artistici vengono spesso «usati a sproposito» e «sovrainterpretati» «opportunisticamente», approfittando di qualche qualità che possiedono, e ignorando volutamente tutte le altre. E a causa di questi veri e propri «abusi strumentali e ideologici», le opere di alcuni autori vengono più apprezzate di altre, perché in qualche modo possono essere più facilmente «utilizzate», cioè «strumentalizzate» per fare «propaganda», o, come si direbbe oggi, per “introdurre dibattiti” su temi di “impegno civile”. Per questa ragione alcune opere sono state sottovalutate e altre sopravvalutate, perché considerate più o meno «adatte» alle strumentalizzazioni. In molti casi, a dire il vero, alcune opere non sarebbero sopravvissute materialmente (restaurate, digitalizzate) se non fossero ancora oggi abusate con falso rispetto per ricorrenze politiche e per propaganda.
Così funziona ad esempio «lo studio della letteratura italiana nella scuola» da quando Francesco De Sanctis dettò la linea di condotta. Lo ammise con chiarezza un intellettuale politicamente “impegnato” come Alberto Asor Rosa nel presentare il suo progetto enciclopedico per lo studio della Letteratura Italiana:
Mi sembra che il modello desanctisiano comporti la presenza di un certo tipo di ideologia. La letteratura è
per lui una delle tante manifestazioni della vita morale che a sua volta è il riflesso della vita civile di un popolo. Ebbene questo modo di guardare ai testi non ne mette in evidenza tutta la potenziale ricchezza; i testi sono qualcosa di più complesso, di più contraddittorio. […] bisognerebbe occuparsi meno di ciò che questi autori hanno detto e più di come, con quali innovazioni di linguaggio hanno scritto. … se si dedica maggiore attenzione al linguaggio ma soprattutto alla comparazione tra i linguaggi nelle diverse arti, per esempio quelle figurative quelle musicali, se insomma lasciamo perdere il falso principio della sostanziale autonomia del linguaggio letterario, scopriamo innovazioni geniali, di enorme portata. Un metodo che privilegia nel testo la presenza o la capacità di evocare una tensione civile lascia di fatto in ombra altre a mio avviso ben più importanti qualità degli autori. […] Nell’ottocento, il secolo in cui si è fatta l’Italia, abbiamo due poeti di grande levatura, Foscolo e Leopardi, non capiti e sacrificati sempre nel senso di cui abbiamo appena parlato, ovviamente. Anche Foscolo è infatti valorizzato come poeta civile. Ma proviamo invece a leggere I sepolcri dal punto di vista della modernità del linguaggio e della costruzione poetica. Ci accorgeremo di quanto Foscolo abbia contato nel fenomeno neoclassico non solo a livello italiano ma europeo. Per non parlare di Leopardi, che è un altro grandissimo poeta dell’ottocento per intuizione moderna dei caratteri della poesia, ed è invece stato trattato quasi esclusivamente per il contenuto dei suoi versi, il “pessimismo leopardiano” utile, secondo De Santis, a suscitare nel lettore e nel critico sentimenti etici in contrasto con quelli dell’autore, o da classificare addirittura, secondo Croce, come un caso patologico. Come ormai evidente, questo metodo di classificazione e di giudizio, oltre a risentire più di altri del tempo dei cambiamenti di prospettiva storico politica (oggi appare ridicolo vedere sette secoli di letteratura tutti tesi a costruire l’Italia) non prende in considerazione poeti e letterati per ciò che essi sono prima di ogni altra cosa: degli scrittori. […] Penso che persino Manzoni, se si riuscisse nell’impresa ciclopica di scollarlo dall’immagine di padre della patria e delle lettere nazionali moderne, potrebbe essere ristudiato e riservarci delle sorprese. Certo i desanctisiani e la scuola hanno fatto di tutto per rendere Manzoni quasi insopportabile. Hanno dato rilievo al fatto che avesse messo le sue capacità al servizio dell’ideologia, e nel suo nome hanno enfatizzato tutti gli autori che si sono impegnati a dare una coscienza unitaria all’Italia. E marginalizzato gli altri, quelli che come Leopardi non alzavano il tricolore. Ed ecco così pagine e pagine di storia della letteratura piene di omaggi agli spiriti civili che si sono caratterizzati per la loro italianità (Manzoni, Parini, Alfieri e lo stesso Foscolo letto è usato per il verso sbagliato) e la quasi esplicita condanna degli altri. Bisogna dire con franchezza che se il metro di giudizio fosse un altro, a Manzoni toccherebbe un drastico ridimensionamento. … Il metodo desanctisiano era appunto un modo di guardare alla storia della nostra letteratura storicista e contenutista, ed è sopravvissuto alla morte di De Sanctis.
Sin dalla Scuola dell’Obbligo, purtroppo, una delle prime cose che ci «inculcano» – condizionando così tutta la nostra vita e la capacità di distinguere e riconoscere testi «artistici» – è la falsa distinzione tra «forma e contenuto», con la quale non si va tanto lontano se si vuole studiare e fare «arte». Dalla Scuola di ogni ordine e grado di solito si esce con la convinzione che «la forma» non conti quasi nulla, mentre «il contenuto» sia tutto, come se quest’ultimo, da solo – cioè senza badare alla forma – possa essere comunque trasmesso e compreso.
Mentre nell’educazione ci si ostina ancora oggi a mantenere ben radicato questo «pregiudizio», viceversa nella ricerca scientifica, grazie a linguisti come Roman Jakobson o Louis Trolle Hjelmslev, e a semiologi come Juri Lotman, si è da tempo dimostrato scientificamente che, per trattare testi estremamente «complessi», come quelli «artistici», occorre «studiare insieme le due facce della stessa medaglia» sia quando li si
«progetta
» sia quando li sia «analizza».
Questi studiosi ci ricordano che, se nella vita quotidiana si possono considerare accettabili l’«arbitrarietà» (per cui ci appare ovvia e persino utile la «sinonimia») e gli «automatismi» (con i quali scegliamo le nostre espressioni senza troppa cura), viceversa quando vogliamo fare e capire l’arte dobbiamo studiare «soluzioni adeguate» (e mai intercambiabili come «sinonimi») per poter creare e comprendere «partite» sempre differenti pur utilizzando le stesse «regole» e gli stessi «elementi».

Basti pensare a un gioco come quello degli scacchi, che tutti possono praticare ripetendo sempre le sole «strategie» apprese e automatizzate, oppure studiando strategie più complesse e persino elaborandone di nuove. Si tratta, anche in quel caso, di decidere se affidarsi agli «automatismi» sufficienti per compiere operazioni «ordinarie» – comportamenti «ripetuti e ripetibili» e perciò anche «prevedibili» dal nostro avversario – o di superarli per compiere le «imprese straordinarie» proprie di un campione.
Se non vi è chiaro questo esempio, perché non conoscete bene gli scacchi, pensate allora alla «guida automobilistica»: per quella di tutti i giorni sono più che sufficienti gli «automatismi», ma se voleste partecipare ad una gara automobilistica, e tentare addirittura di diventare un campione automobilistico, gli stessi automatismi vi sarebbero addirittura «di intralcio»; e la vostra «preparazione» a tale scopo inizierebbe proprio dall’«affrancarsi dagli automatismi» della guida «ordinaria».
A questo punto vale la pena domandarsi quali siano «le facce della medaglia» di cui occorre occuparsi quando si vuole studiare arte in senso analitico e progettuale; e occorre chiedersi se si tratti proprio di una medaglia o invece di un «cristallo», o più astrattamente di un «poliedro». Il grande studioso di narrazione artistica Juri Lotman e il grande scrittore Lev Tolstoj da lui citato possono venirci in aiuto:
Il linguaggio artistico si presenta come una struttura di grande complessità. Esso è notevolmente più complicato delle lingue naturali. E se il volume d’informazione contenuto nel linguaggio poetico (in versi o in prosa: ciò non ha importanza) e nel linguaggio comune fosse uguale, il linguaggio artistico perderebbe il diritto di esistere e, indiscutibilmente, morirebbe. La questione si pone però diversamente: la complessa struttura artistica, creata col materiale della lingua, permette di
trasmettere un volume d’informazione che sarebbe assolutamente impossibile trasmettere con i mezzi della struttura linguistica normale. Deriva da ciò che la data informazione (il contenuto) non può né esistere, né essere trasmessa fuori della struttura data. Ripetendo una poesia nel linguaggio comune, distruggiamo la struttura e, di conseguenza, non portiamo più al ricevente quel volume di informazione che è contenuto in essa. In tal modo, la metodologia dell’esame del « contenuto ideologico » separato, e delle « particolarità artistiche » pure separate, tanto pervicacemente in uso nella pratica scolastica, si fonda sull’incomprensione delle basi dell’arte ed è nociva, in quanto induce nel lettore di massa una falsa rappresentazione della letteratura come di un mezzo per esporre in modo più lungo e abbellito gli stessi pensieri che si possono esprimere in modo breve e semplice. Se il contenuto ideologico di Guerra e Pace o dell ’Eugenio Onegin potesse essere esposto in due paginette, ne deriverebbe una conclusione naturale: perché leggere lunghe opere? Bastano brevi manualetti. Questa è la conclusione, alla quale spingono non cattivi maestri di infelici scolari ma tutto il sistema scolastico di insegnamento della letteratura, che a sua volta riflette in modo semplificato, e perciò più evidente
e netto, una tendenza che si avverte chiaramente nella scienza letteraria. Il pensiero dello scrittore si realizza in una determinata struttura artistica ed è da essa indivisibile. L.N. Tolstoj scriveva, a proposito dell’idea principale di Anna Karenina: « Se io dovessi ridire con parole tutto ciò che ho avuto in mente di scrivere col romanzo, dovrei riscrivere lo stesso romanzo che ho scritto, dall’inizio. E se i critici ora già capiscono e in un feuilleton possono esprimere tutto quello che io volevo dire, mi congratulo con loro […]. E se i critici miopi pensano che io volevo scrivere solo quello che mi piaceva, come pranza Oblonskij e come sono le spalle della Karenina, si sbagliano. In tutto, quasi in tutto quello che ho scritto, sono stato guidato dall’esigenza di raccogliere i pensieri, intrecciati fra di loro per esprimere me stesso; ma ogni pensiero, espresso in modo particolare con le parole, perde il suo senso, s’impoverisce paurosamente, quando è preso da solo e senza quell’intreccio, quella concatenazione nella quale si trova ». Tolstoj ha detto in modo straordinariamente chiaro che il pensiero artistico si realizza attraverso il « concatenamento », la struttura, e non esiste al di fuori di esso, che l’idea dell’artista si realizza nel suo modello di realtà. E più oltre Tolstoj scrive : « … sono necessarie persone che mostrino l’insensatezza delle ricerche parziali nell’opera artistica, che costantemente guidino i lettori in quell’infinito labirinto di concatenazioni, nel quale consiste l’essenza dell’arte e secondo quelle leggi che servono di fondamento a tali concatenazioni ».
Sono dunque gli stessi artisti, oltre che gli scienziati che studiano l’arte, ad avvertirci che l’opposizione «forma VS contenuto» è sbagliata e inaccettabile soprattutto quando ci si occupa di «arte»; intanto perché senza una «forma adeguata» (cioè non arbitraria, stereotipata, casuale) noi non potremmo trasmette alcun «contenuto complesso», né rappresentarlo né comprenderlo; e inoltre perché l’arte, per trasmettere i propri contenuti, ha bisogno di una forma particolarmente raffinata e perfettamente adeguata; ha bisogno cioè di «mettere in forma» in modo consono quel «piano espressivo» che, viceversa, nel «linguaggio comune» quasi non consideriamo, affidandoci piuttosto a frasi fatte e ritenendo (non senza ragione per quanto riguarda il «linguaggio comune») che un’espressione o l’altra abbiano «più o meno lo stesso senso»; di qui la consuetudine di affidarsi ai sinonimi «solo» per non ripetere le stesse parole.
Nelle opere di natura ordinaria, quelle che noi scriviamo tutti i giorni, (un breve messaggio, un commento, un appunto …) noi non badiamo alla «forma» perché ci affidiamo agli «automatismi». Per fare arte e per capirla bisogna invece «rompere gli automatismi», e studiare le «forme», perché solo lo studio delle «forme dell’espressione e del contenuto» ci permette di capire come può essere elaborata la «materia dell’espressione e del contenuto»; e, di conseguenza, ci consente di comprendere oggetti complessi la cui materia è stata propriamente e abilmente messa in forma da un autore in grado di organizzare simultaneamente «tanto il piano dell’espressione quanto quello del contenuto», elaborando «soluzioni sia narrative che compositive» adeguatamente «correlate» tra loro.
Come ci spiegano Lotman e Tolstoj, tutti i contenuti – cioè quale che sia la materia che vogliamo trattare – devono essere «messi in forma», perché senza metterli in forma noi non riusciremmo a trasmettere «proprio quelle» informazioni che intendiamo veicolare. Se «adottiamo» delle forme precostituite, «standardizzate», o come si dice “frasi fatte” finiamo per veicolare solo pensieri banali e assai differenti dalle nostre intenzioni. Se invece costruiamo alcune soluzioni compositive adeguate alle informazioni che vogliamo veicolare, cioè alle soluzioni narrative che abbiamo elaborato, allora possiamo almeno sperare che il destinatario, o un fruitore preparato, possa coglierne e apprezzarne il complesso significato.
Occorre dunque riflettere sul fatto che quella «materia del contenuto», di cui si parla a partire dalla Scuola di Base, può essere messa in forma in modi diversi. È come scrivere un articolo o un altro sullo stesso «argomento»: nello scrivere dobbiamo decidere non solo come articolare le informazioni (dando forma alla materia del contenuto), ma anche quali soluzioni espressive, o meglio compositive, siano più adatte per trasmetterle (dando forma alla materia dell’espressione utilizzata). Questo ci riporta al problema di fondo, perché proprio a partire dalla Scuola dell’obbligo lo studio analitico ed elaborativo delle «forme» narrative ed espressive degli oggetti di studio non è previsto.
Quello che scoprirete nella nostra Scuola di Narrazione Artistica è che solo studiando, con gli strumenti adatti, la forma complessa di un capolavoro artistico si può arrivare a comprendere sempre di più la ricchezza che esso racchiude.
«La forma informa». La forma consente di ricavare informazioni. Solo quando si mette in forma la materia trattata essa finisce per diventare informativa.
La buona notizia è che fin da piccoli si può cominciare a manipolare «in modo scientifico» – anziché automatico e casuale – la stessa «materia» di cui sono fatti i capolavori artistici, comprendendo da subito che si tratta di una una «doppia materia da mettere in forma». Da un lato occorre considerare la materia delle immagini, delle parole, dei suoni che noi elaboriamo anche manualmente e tecnicamente. Questa è una materia «compositiva» cioè adatta per «elaborare composizioni». Da un altro lato c’è una materia potenzialmente «narrativa», che chiamiamo «informazioni depositate» nella nostra «memoria a lungo temine» ma anche nella memoria fisica dei libri, dei film o dei dischi che ci precedono e ci sopravvivono … Si tratta di quei «dati osservativi» che noi «raccogliamo» in molti modi e che «salviamo» (nella nostra memoria interna o su qualche supporto esterno offline o online) quando li riconosciamo come «informativi», quando cioè siamo riusciti a «connetterli» con altre informazioni già depositate, perché essi «rispondono a domande» che già ci eravamo poste o perché «aprono nuove domande» e ci invitano a cercare risposte tra le «informazioni depositate» (quelle che troviamo e correliamo nella nostra memoria o in supporti esterni ad essa offline o online).
Quando, ad esempio, scriviamo un “tema”, un “articolo”, o meglio un “racconto con ambizioni artistiche”, dobbiamo decidere anzitutto «in che ordine» metterle e «come correlarle» tra loro, affinché creino un potenziale discorso interessante, ovvero un «labirinto concettuale» a cui dobbiamo dare un’«adeguata forma espressiva». E dobbiamo anche chiederci se quelle informazioni che intendiamo trasmettere – le idee che abbiamo in mente – siano abbastanza chiare, precise. Quindi dobbiamo articolarle ulteriormente in tanti potenziali «microracconti correlati tra loro», alcuni dei quali potrebbero essere anche presupposti da e condivisi con il nostro lettore.
Tutti sappiamo che per padroneggiare una «materia» dobbiamo anzitutto articolarla e poi organizzarla. È quello che facciamo quando, mentre leggiamo uno o più libri, iniziamo a prendere appunti, ad elaborare schemi o mappe per poter riordinare, rileggere, e rinarrare da più prospettive gli stessi dati. E riorganizzando la stessa materia da più prospettive, sia per poterla memorizzare che poterne narrare, capiamo quanto contino i modi con con cui noi articoliamo, correliamo e rappresentiamo le informazioni.
Come spesso accade, ci si accorge dei meccanismi che fanno funzionare perfettamente un oggetto solo quando quello si inceppa o si rompe. Così quando vi accorgete che un vostro interlocutore non è riuscito a raccontare (bene) neppure una semplice barzelletta, cioè non è riuscito ad appassionare e divertire il suo uditorio, potete provare a riflettere sui modi con cui quello ha articolato, organizzato e rappresentato le informazioni, cioè sulle soluzioni con cui ha raccontato la stessa «fabula» narrata da altri, ma non avendo saputo trovare «le parole giuste» e non avendo saputo disporle in un ordine e con i tempi più adatti per provocare l’effetto desiderato.
Persino da questo piccolo esempio potete capire che «mettere in forma» vuol dire, sul piano della «materia del contenuto», studiare come articolarla e organizzarla. È il lavoro che fanno o dovrebbero fare gli sceneggiatori; questi infatti non dovrebbero occuparsi di «parole» (non dovrebbero essere «dialoghisti») ma di «informazioni»: di quali, quante, e quando distribuire all’interno del racconto. Ad altri, o meglio ad altri momenti, spetta il compito di trovare le soluzioni compositive letterarie, visive, sonore, più adatte per veicolare esattamente quelle informazioni e non altre in un ogni punto del racconto.
Questi due «mestieri», o meglio «compiti», dovrebbero essere ben distinti ma anche svolgersi di pari passo. Gli sceneggiatori dovrebbero lavorare con i compositori e i registi. O ancor meglio, quando si narra bisognerebbe mirare ad essere «autori» della propria opera, cioè «al contempo ideatori e compositori».
Ebbene, nella nostra Scuola noi vi faremo comprendere e imparare come si mette in forma la materia del contenuto, le informazioni, per creare un «labirinto narrativo»; e al contempo vi spiegheremo e vi insegneremo come si dà forma espressiva a quel labirinto, ricercando le soluzioni compositive più adeguate per farlo funzionare attraverso una «coreografia» ben orchestrata di immagini, suoni, parole.
Questo ci riporta a ciò a cui accennavamo inizialmente, e cioè che noi studiamo «come sono fatti» i testi artistici per capire «come funzionano». Ma che vuol dire “studiare come sono fatti”? Attingendo ai vostri ricordi scolastici potreste pensare che si tratti di una questione «tecnica», tutto sommato neanche troppo interessante, o interessante solo per qualche feticista del tecnicismo. Ma chi studia le cose in modo scientifico non è solo un “formalista” o solo un “contenutista”. Studiare «come sono fatte» vuol dire cercare di capire «come fanno a funzionare», cioè come fanno a veicolare quelle informazioni o a servire ad un certo uso.
Nella nostra Scuola studiare un capolavoro artistico vuol dire indagarne il progetto, la sua architettura, la rete di connessioni che permette di far sì che in esso tutto si tenga perfettamente come un sistema narrativo senza crepe. Ricostruire il progetto partendo da come è fatta l’opera significa scoprire ragionamenti, i calcoli compiuti dall’autore riguardo a quando e quanto dire, cosa dire e cosa non dire in ogni punto, e come dirlo con le soluzioni più adeguate per evitare di dire di più o di meno, altro o anche altro. Per questo è necessario analizzare da più prospettive e a diversi livelli la forma polidimensionale con cui è composta l’opera presa in esame. Studiare la forma dell’opera consente di capire come essa funziona, cioè come fa a coinvolgerci, appassionarci ed arricchirci. Ma se si vuol capire di più rispetto a ciò che si può cogliere ad una lettura immediata e superficiale, condotta con i pochi mezzi a propria disposizione, occorre prepararsi e acquisire più mezzi e più adeguati. Come potete capire l’adeguatezza c’entra, e tanto, nella costruzione dell’opera, ma anche nella sua successiva dissezione autoptica per studiare il sistema che la sorregge.
Venendo dunque al nostro modo di studiare i capolavori dell’arte narrativa, avrete compreso che questo parte dall’osservare come sono fatti, perché, mentre nelle opere ordinarie c’è una dose alta di casualità e di standardizzazione, che ci porta a considerare poco rilevante come esse siano fatte, viceversa in un’opera d’arte ogni elemento è rilevante; dentro ogni parola, ogni virgola ogni costruzione sintattica c’è una scelta, e potreste chiedervi perché mai l’autore abbia fatto proprio quella e non altre. Studiare «come è fatto» un capolavoro ci porta a comprendere «come funziona», proprio perché ogni decisione formale è informativa. E la cosa più interessante è che nei testi artistici la maggior parte delle informazioni si ricavano proprio da «come sono composte» le frasi, le scene, le musiche; e da «come» l’autore e i personaggi dicono quel che dicono o fanno quel che fanno. L’arte è «indiretta», per cui il modo di far recitare e agire i personaggi, o di scegliere un’inquadratura o una parola piuttosto che un’altra, di mettere il soggetto all’inizio, di spostare una frase dopo e quindi di farci scoprire una cosa in un punto piuttosto che in un altro senza rispettare l’ordine cronologico degli eventi, è sempre «informativo» o meglio «espressivo». Il piano compositivo in un’opera d’arte è altamente informativo; tutto nell’arte è espressivo, cioè «rivela» le informazioni che l’autore vuole che noi impariamo a «ricavare» osservando con attenzione come è fatta la sua opera.
Questo vuol dire anche imparare a scoprire dove si trovano le informazioni che il testo artistico racchiude: non tanto nel «cosa» esso dice, ma nel «come» lo dice. Studiare un’opera d’arte è infatti come studiare una «scena del crimine».
Nella nostra Scuola imparerete a fare quello che fanno gli investigatori; diventerete abili quanto Sherlock Holmes nel «vedere» quello che abitualmente le persone «osservano», ma non «vedono».
E come si fa a imparare a «vedere»? Bisogna appunto indagare come è fatto il testo, bisogna studiare la sua sintassi, cogliere le scelte che ha fatto l’autore, le soluzioni compositive che ha elaborato e i principi con cui le ha elaborate; occorre imparare a riconoscere non solo le scelte che ha fatto in ogni articolazione dell’opera, ma anche quelle, correlate ad esse, che si trovano in altre parti dell’opera (in quanto cause o effetti collaterali), nonché quelle che avrebbe potuto fare ma non ha fatto. Solo così potrete comprendere pienamente il senso delle sue soluzioni e dell’intera architettura. In un opera artistica le soluzioni compositive corrispondono a soluzioni narrative, e solo se voi avete compreso le soluzioni compositive arriverete a capire quello che, sul piano narrativo, quelle soluzioni rappresentano e racchiudono, o se volete «nascondono agli occhi di chi non sa vedere».
Ecco, nella nostra Scuola noi ci occuperemo di questo. E proprio a questo abbiamo voluto dare il nome di «scienza segreta dell’arte narrativa». Sì, perché «nell’arte narrativa c’è scienza». C’è scienza perché quella costruzione straordinaria che chiamiamo “arte” ha le caratteristiche di una composizione, di una costruzione scientifica, di una formula. Qualcuno, per realizzarla, ha lavorato proprio come fa un chimico, un inventore, un architetto, che ragiona portando estrema attenzione a quali elementi e quali regole ha deciso di adoperare per costruire il racconto e farlo funzionare, per creare la formula perfetta che lo renda potenzialmente immortale.
Ma ogni formula perfetta è fatta di elementi e principi che sono comuni ad altri racconti. Ci sono quindi parti di racconti, cioè di «formule», che coincidono; e questo in superficie può farli apparire simili tra loro al punto tale che la nostra memoria associativa dall’uno ci fa saltare all’altro, cioè «ci fa venire in mente» un altro racconto.
Si tratta di vere e proprie «parentele», sia pure implicite, che collegano i capolavori dei Maestri tra loro – anche a distanza di spazio, di tempo, e di forme espressive – per i modi con cui sono composti e narrati. Nella nostra Scuola vi insegneremo come riconoscerle e come inseguirle, «esplorando» il vasto (ma non troppo) mondo della narrazione artistica, oltre che «investigando» le complesse architetture di ciascun capolavoro che incontrerete in quei «viaggi».

Nella nostra Scuola scoprirete come diversi autori manipolino esplicitamene o implicitamente la stessa materia narrativa creando incredibili «variazioni sul tema» e passandosi il testimone l’un l’altro, spesso da maestro ad allievo.

Scoprirete come uno stesso labirinto narrativo possa essere diversamente percorso magari assumendo il punto di vista di un diverso personaggio con una storia altrettanto complessa e interessante.
E scoprirete come uno stesso autore e cantastorie, ripercorrendo il labirinto da lui stesso creato, possa sviluppare un nuovo intreccio, una riscrittura, o una messa in scena.


Scoprirete anche come da un labirinto possano nascere nuovi labirinti espandendolo o ritagliandolo, contraendolo o dilatandolo topologicamente, e integrandolo in altri labirinti per crearne di maggiori e più complessi.
Capirete come da un medesimo labirinto si possano ricavare tanti labirinti più ristretti percorrendo i quali ci si può preparare a compiere l’impresa più ardua di percorrerlo tutto un passo alla volta.
A questo punto, se siamo riusciti a darvi un’idea di quello che potreste apprendere nella nostra Scuola, avrete capito che, frequentandola, imparerete a fare cose che che non fate «abitualmente», sia perché non ne siete ancora capaci, sia perché non ve le hanno insegnate altrove, sia perché nelle altre scuole non si insegnano.

Frequentando i nostri “Ambienti di Studio” potrete scoprire e giudicare voi stessi se tutto quello che farete con noi, e con la guida virtuale dei più grandi narratori, vi aiuterà a crescere intellettivamente e a capire come funziona un racconto artistico.
Finalmente potrete comprendere come, quelle opere la cui perfezione è spesso ingenuamente attribuita al “genio»” e ad un magico parto notturno avuto dall’autore, siano riconducibili a ragionamenti scientifici stringenti e complessi che hanno richiesto tanto tempo all’autore, proprio quanto ne richiedono a chi progetta un oggetto tecnologico che vi stupisce la prima volta che lo vedete, perché vi appare come qualcosa di straordinario che non c’era già; qualcosa che chiamate «invenzione» o «scoperta», in quanto vi permette di arricchire la vostra mente e il vostro animo, e magari anche di risolvere un problema non risolto o mal risolto prima.
Altrettanto tempo vi sarà richiesto per imparare a comprendere e per applicare tutto quello che via via apprenderete, in una continua retroazione «dal particolare al generale al particolare»; ma in questo modo riuscirete a ricavare i preziosi insegnamenti che le opere dei Maestri racchiudono, non solo sul piano etico e morale ma anche su quello metodologico, e imparerete a narrare voi stessi come lo fanno i veri artisti.
Allo studio dell’arte, purtroppo, non si dà normalmente il peso che si dà invece allo studio delle soluzioni che ci risolvono i problemi della vita quotidiana. In effetti l’arte non aiuta a risolvere i problemi della vita ordinaria, perché non si occupa dei «bisogni primi», ma di quelli «secondi»; quelli per cui noi ci definiamo «uomini», cioè essere viventi che aspirano a qualcosa di più che non semplicemente a mantenersi in vita.
Attraverso la nostra Scuola vogliamo darvi una chiave di accesso a quel mondo in cui si creano i capolavori dell’arte narrativa, affinché comprendiate e apprendiate «come si studiano», perché in quel mondo le abilità per riuscire a farli sono molto simili a quelle che occorrono per capire come funzionano.
Molti pensano ingenuamente che per capire un testo artistico non occorra la stessa intelligenza di chi lo ha ideato. Ma non è così, perché l’intelligenza di chi ha creato un capolavoro, ovvero le capacità richieste per elaborare un oggetto complesso sono le stesse che occorre acquisire per comprendere la sua complessità.
Per arrivare a capire e a giocare il gioco più bello del mondo bisogna imparare a ragionare come i migliori giocatori e apprendere dalle loro partite le loro più sofisticate strategie di gioco.
Come possiamo essere così ingenui da pensare che mentre Shakespeare ha lavorato così tanto per creare quei capolavori, noi in un attimo potremmo riuscire a comprenderli senza possedere alcuna delle sue capacità? Noi potremmo rimanere sbalorditi, attoniti, senza parole, per la bellezza di quelle opere. Ma appunto, non sapremmo che dire.
E’ chiaro che ciascuno di noi, se non mente a se stesso, si accorge che certe opere sono dei capolavori. Ma perché lo sono, e soprattutto qual è la ricchezza che essi racchiudono, questa è un’altra cosa, tutta da scoprire.
Per questo però potreste affidarvi a quei critici, eruditi e divulgatori che vi convincerebbero che la ricchezza di quelle opere va ricercata nella soluzioni tecnologiche sperimentate, oppure negli usi che ne sono stati fatti, o ancora in ciò che voi stessi potreste proiettarvi, insomma in quel poco di cose che loro stessi hanno colto e che anche voi riuscireste a cogliere, … da soli.
Ma se farete così, probabilmente quello che vi verrà detto per ciascuna di quelle opere d’arte, liquidandola con una paginetta simile a quello che trovereste scritto per un’altra opera d’arte, finirebbe per allontanarvi anziché avvicinarvi ad essa, e renderebbe assai poco onore a quell’opera e al suo autore, che si è tanto adoperato per offrirvi un’esperienza straordinaria.
Per comprendere la complessità di un’opera che ha richiesto all’autore anni di studio occorre una preparazione ben diversa da quella con cui potete leggere un’opera di valore ordinario, quotidiano o stagionale, anche se composta con elementi simili e riguardante lo stesso argomento.
Molte sono le differenze non immediatamente riconoscibili tra un’opera d’arte e un’opera che appartiene alla quotidianità e che anche voi potreste realizzare. Esaminandole a confronto capirete che un’opera d’arte, sia per farla che per poterla comprendere, richiede non solo capacità non comuni, ma anche tutto il tempo necessario per studiarne l’architettura e le correlazioni, sia quando la si progetta sia quando la si fruisce.
Ognuno dei capolavori narrativi animati di Walt Disney richiedeva circa tre anni per idearli e realizzarli con un team di artisti impegnato a tempo pieno. Dopo la morte di Walt Disney gli “Eredi” della sua Factory hanno invertito il rapporto, e in un solo anno hanno cominciato a realizzare almeno tre progetti, certamente non capolavori, non dotati delle qualità di gioielli come Biancaneve o Pinocchio curati dallo stesso Walt Disney e diventati immortali. Tutti i capolavori ideati da Walt Disney continuano a sopravvivergli, ad essere restaurati, ristampati e distribuiti su tutti i media per dar piacere ad ogni generazione, anche a quelle nate nell’Era Digitale.
Viceversa le cose fatte da «la Disney dopo Walt Disney» sono state concepite come prodotti stagionali, sequel, remake, imitazioni, che sfruttano la fama del marchio Disney per attirare l’attenzione del pubblico che non sa distinguere; ma poi scompaiono, si buttano via e si sostituiscono con altri prodotti simili realizzati ad un ritmo frenetico, per stare al passo con una concorrenza in grado, ormai, di fare le stesse cose.
Noi nella nostra scuola ci occupiamo solo di quei progetti autoriali su cui riteniamo valga la pena investire tempo ed energie, le stesse che ha investito chi li ha elaborati e che deve investire chi vuole comprenderli.
Sono quei progetti che racchiudono insegnamenti di varia natura, compresi quelli di carattere metodologico, che ci permettono di crescere e anche di imparare come si diventa artisti. Quelle opere potenzialmente immortali, che hanno superato il tempo e attraversato lo spazio, sono investimenti a lungo termine.
Alfred Hitchcock, come forse sapete, addirittura «ritirò» alcuni dei suoi capolavori dal mercato cinetelevisivo, proprio perché sapeva che, distribuendoli nuovamente anni dopo la sua morte, avrebbe lasciato in eredità ai suoi figli e nipoti un patrimonio, anche economico oltre che di idee e di competenze, perché la sua opera era destinata a – cioè concepita per – rimanere come tesoro dell’intera umanità, proprio come quella indiscussa di William Shakespeare.
Certamente in un mondo cinico e iconoclasta si può sempre distruggere e cancellare ogni copia e ogni traccia di un’opera; ma se continuiamo a distribuirla scopriremo che ci sono cose che non si dimenticano e non scompaiono insieme alle mode, perché non sono assimilabili ad esse; altre, invece, sono destinate a scomparire in quanto prodotti stagionali a scadenza.
Anche per questo dovreste domandarvi se volete studiare per arrivare a capire come funzionano prodotti senza tempo e senza frontiere, o viceversa per apprendere come realizzare un prodotto di successo stagionale, magari per riuscire a sbarcare il lunario. Tuttavia, per raggiungere quell’obiettivo, ci sono tanti altri modi, ben più facili.
Se volete provare ad avvicinarvi ad ottenere quello che sono riusciti a creare i Maestri che troverete ad aspettarvi, con i loro capolavori, nella nostra Scuola, allora dovrete impegnarvi in uno studio intenso ma appassionante, che vi farà sentire, anche sotto questo aspetto, vicini a loro.
Nel nostro Primo Ambiente, aperto a tutti, troverete molti estratti dei nostri lavori, dei nostri studi, e delle nostre lezioni, che tuttavia non sono «riduzioni»; sono proprio parti, spesso incipit di quello che abbiamo fatto; fruendoli comprenderete come mai, solo attraverso un lavoro come quello che vi mostreremo, si possa arrivare ad apprezzare la ricchezza di opere altrimenti inaccessibili.
Già in questo primo Ambiente capirete come sia possibile, con lo studio, arrivare ad acquisire le medesime competenze di quei maestri che voi stessi potreste finire per invidiare piuttosto che ammirare. E finalmente smetterete di considerarli come dei casi unici e irripetibili da cui non sapreste ricavare nulla che possa insegnarvi a fare come loro.